Per scrivere bene imparate a nuotare: Trentasette lezioni di scrittura (Italian Edition) by Giuseppe Pontiggia

Per scrivere bene imparate a nuotare: Trentasette lezioni di scrittura (Italian Edition) by Giuseppe Pontiggia

autore:Giuseppe Pontiggia [Pontiggia, Giuseppe]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 2020-02-24T23:00:00+00:00


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Le vocali non sono innocenti

Perché è tanto importante il nome del personaggio?

Perché si carica di significati simbolici, di implicazioni allusive, di echi e di suggestioni. Gli scrittori vi dedicano invariabilmente molta attenzione e spesso molto tempo. Alcuni rivelano un genio particolare. Dante non «sbaglia» un solo nome proprio, introduce sempre nomi di grande plasticità e forza evocativa, da Filippo Argenti a Provenzan Salvani, da Brunetto Latini a Buonconte di Montefeltro, da Taide a Costanza a Matelda; «ma riconoscerai ch’i’ son Piccarda». Piccarda è un nome sonoro, ricco di vibrazioni. Pensa se l’avesse chiamata Adalgisa.

Ma se questo fosse stato il suo nome?

Avrebbe evitato di nominarla, anche se naturalmente questo è solo un gioco di ipotesi. Ma quello che importa è capire la insostituibilità, direi la fatalità nella scelta di un nome. La vita può sbagliare, l’arte no. Nella vita domina la casualità, nell’arte la necessità. Emma Bovary è perfetto, Emma Lafayette, come poteva chiamarsi nella vita, sarebbe stato nel romanzo una catastrofe. Flaubert, spinto anche dagli amici a liberarsi del suo romanticismo visionario, decise di ispirarsi a una cronaca provinciale. Mai però si sarebbe lasciato guidare da quello che abbiamo chiamato il pregiudizio realistico, per introdurre nel testo un nome estraneo ai significati del testo.

Questo principio, secondo te, vale sempre?

Certo, almeno se consideriamo un’opera secondo la prospettiva della espressività. Se vogliamo considerarla secondo altri criteri, il discorso cambia. I criteri possono essere tanti. Croce ha scritto, nel Breviario di estetica, che una statua può essere considerata, almeno da quelli che la devono trasportare, secondo il volume e il peso.

Questa specie di autonomia espressiva dei nomi vale anche per quelli di luogo?

Sì, ma non la chiamerei autonomia espressiva, quanto espressività dei nomi in rapporto al contesto. Per restare a Dante, nel canto XV dell’Inferno evoca i Fiamminghi che, tra Wissant e Bruges, alzano dighe per opporre una barriera al mare. Bene, che cosa diventano questi nomi nei versi di Dante? Diventano una immagine balenante, dinamica. Proviamo a rileggerli: «Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia, / temendo il fiotto che ’nver lor s’avventa, / fanno lo schermo perché ’l mar si fuggia…». Fiamminghi, Guizzante e Bruggia sono nomi uniti tra di loro da associazioni di fuoco, di velocità, di luce. È così che un artista si pone di fronte al problema espressivo del nome proprio.

Questo principio però funziona solo con i nomi che abbiamo chiamato trasparenti, non con i nomi che non hanno un significato.

Non esistono nomi che non abbiano un significato. Può essere un significato solo allusivo ed evocativo, legato ad associazioni foniche e sensoriali. Ma il significato c’è sempre, anche se arriva a noi attraverso percorsi particolari.

E quali sarebbero?

Quelli su cui si fonda la sinestesia, ovvero la capacità di percepire relazioni tra sensi diversi, tra l’udito, la vista, il tatto eccetera. Potrei cominciare dal sonetto di Rimbaud dedicato ai colori delle vocali, «A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu…». Il sonetto esprime significati simbolici complessi, ma lo cito solo per suggerire un punto importante in rapporto alle vocali. Non ci sono vocali innocenti.



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